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CORSERA IMMOBILIARE CASAVO ISTANT BUYER, BUFALA ALL'ITALIANA.IL DEBITO DELLA SOCIETA' AD ALTO RISCHIO DEFAULT. LA SENTENZA TAR CALABRIA

Roma 1 agosto 2021 CorSera.it by dr.Matteo Corsini Fondatore e direttore EUSG Enciclopedia Universale delle Scienze Giuridiche ed Urbanistiche

Casavo, ho sentito ieri l'intervista dell' amministratore Giorgio Tinacci, la sua azienda sarebbe un istant buyer del settore immobiliare, come se il bene giuridico tutelato, fosse un prodotto industriale, certificato con tutte le attestazioni disponibili. Ma come possiamo immaginare, gli immobili non sono prodotti perfetti, ma imperfetti, su cui si innestano in un groviglio alle volte inestricabile, le normative e i regolamenti edilizi, urbanistici, tecnico strutturali, sismici, e nel centro storico delle città italiane, quelli di natura vincolistica, tutela del paesaggio, archeologico, monumentale, architettonico, di prospetto. Norme tecniche per l'imbocco alla rete fognaria, i cui parametri tecnici , per verificarli ( non volendo acquistare casa senza allaccio in fogna ) sono costituiti da almeno 30 pagine.  Giorgio Tinacci assicura l'acquisto della vostra casa ad uso residenziale in soli 30 giorni e direttamente dal loro notaio il gioco è fatto. Se Casavo acquista immobili inagibili, senza collaudo statico, ma semplicemente adottando la formuletta della dichiarazioni ante 1967, si sta caricando di immobili, il cui valore commerciale non potrà certo essere quello di mercato. Un immobile senza requisiti per ottenere le certificazioni di agibilità, subisce un decremento del valore molto forte, che dovrà subire le forche caudite di una successiva stima da periti di parte o quelli di un tribunale. Casavo acquista immobili inagibili, come nel caso di Via Virgilio n.8 a Roma, immobile ad uso residenziale trasformato in ufficio con un condono edilizio senza agibilità. Il programma è quello di rivenderlo dopo averlo frazionato in piccoli appartamenti ad uso residenziale. La pratica urbanistica non avrebbe un presupposto di regolarità urbanistica ed edilizia.

Basta leggere attentamente la storica sentenza del Tar Calabria, per capire come l'idea dell'istant buyer che acquista immobili in 30 giorni,  appartamenti ad uso residenziale, appare come una chimera, più che una certezza.Casavo acquista immobili irregolari e inagibili in 30 giorni. Poichè per attendere la loro regolarità, dovranno passare mesi, alle volte anni.  Casavo si sta caricando di proprietà immobiliari irregolari urbanisticamente, il cui valore non è certo quello di mercato - 8% . L'acquisto di immobili inagibili o irregolari, comporta un rischio ben maggiore del solo 8%. Un immobile inagibile ha una connotazione di bene incommerciabile, il cui valore è fortemente compromesso. Se mancano i requisiti addirittura potrebbe essere stimato al solo costo di costruzione. L'acquisto di immobili gravemente compromessi sotto il profilo della regolarità urbanistica, non fa che inoculare all'interno del debito dell'azienda, fattori di rischio, che rendono di fatto il business immaginato da Tinacci, come del tutto incontrollabile. 

In proposito il TAR Calabria Reggio Calabria 22/01/2021, n. 70 ha ribadito il principio secondo il quale la conformità dei manufatti alle norme urbanistico/edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico/edilizia e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è preordinata.

La questione è ben diversa, quella che vedo è la corsa di Casavo a riempirsi di immobili ad uso residenziale ha una sola giustificazione nel frazionamento del rischio. Ma in evidenza, acquistano immobili che forse quando saranno ricollocati sul mercato, saranno ancora privi di agibilità, dunque con un valore decisamente più basso. Ma forse le fnalità di Casavo e dei suoi finanziatori potrebbe anche essere quello della quotazione in borsa, dove con molta astuzia , rifilare ai piccoli risparmiatori, il mirabolante business plan, di una delle più sonore bufale imprenditoriali di cui sentiremo mai parlare del settore finanziario italiano. Il debito della società si sta dilatando a dismisura e con ogni probabilità i tempi amministrativi per ottenere la piena regolarità urbanistica saranno ben diversi da quelli che indica il giovane amministratore Giorgio Tinacci. O troveranno il modo per piazzare il prodotto ad interlocutori poco avveduti o il business plan va rivisto e credo perfino la strategia. La domanda è, se un istant buyer può assumersi il rischio di acquistare beni immobiliari, le cui aspettative per diventare formalmente regolari sotto i più strigenti aspetti edilizi ed urbanistici, dipendono dai tempi di reazione degli uffici amministrativi ? 

Nella storiella di Giorgio Tinacci, si sente puzza di bruciato e anche piuttosto intenso. Qualcuno dice che non mi sbaglio mai, penso anche io e anche questa volta.

dr.Matteo Corsini

Agente immobiliare professionista

Esperto e consulente legale in diritto civile, societario, urbanistico

Fondatore e direttore scientifico dell'Enciclopedia Universale delle Scienze Giuridiche 

corsinicase@gmail.com 

 

 

Finalmente la sentenza del Tar Calabria 22/01/2021 fa piazza pulita della confusione delle normative sulla agibilità dei fabbricati. Quando lavori di ogni ordine e natura, incidono sulla struttura portante dell'edificio, in violazione delle normative tecnico edilizie , deve essere revocata. Questa sentenza è lo spartiacque anche sulle polemiche afferenti il valore degli immobili con o senza agibilità e con pervicace incidenza ne tratteggia quelli commeciabili e quelli che non possono essere considerati tali. Con la pubblicazione di questa sentenza amministrativa di un Tribunale regionale così importante, si determina anche l'indirizzo legislativo e regolamentare, che dovrà via via essere sempre più stringente a tutela della incolumità dei cittadini. I giudici della X sezione del Tribunale Civile di Roma dovranno ben riflettere prima di scrivere sentenze senza l'ausilio dei CTU.

REVOCA DELL’AGIBILITÀ PER ABUSI CHE RIGUARDANO ASPETTI STRUTTURALI DELL’EDIFICIO

È legittima la revoca dell’agibilità dell'edificio qualora vengano realizzate opere abusive tali da compromettere la stabilità e la tenuta antisismica dell’intero immobile.

In proposito il TAR Calabria Reggio Calabria 22/01/2021, n. 70 ha ribadito il principio secondo il quale la conformità dei manufatti alle norme urbanistico/edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico/edilizia e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è preordinata.

Inoltre il TAR ha specificato che è la stessa legge a richiedere - prima con l’art. 25 del D.P.R. 380/2001, comma 1, lett. b), e poi con il nuovo art. 24, comma 2, D.P.R. 380/2001 - che la domanda di rilascio del certificato di agibilità sia corredata, tra l’altro, dalla “dichiarazione sottoscritta dallo stesso richiedente il certificato di agibilità di conformità dell’opera rispetto al progetto approvato” e che tale certificato (oggi sostituito dalla segnalazione certificata di agibilità ex art. 3, D. Leg.vo 25/11/2016, n. 222) viene imposto con riferimento alle nuove costruzioni, alle ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali, ed inoltre, agli interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni previste dalla legge.
Le norme in discorso vanno interpretate nel senso che, in caso di difformità dell’opera dal progetto edilizio e, a maggior ragione, in assenza di progetto, l’agibilità deve essere negata.

Nel caso di specie i ricorrenti contestavano il provvedimento di revoca del certificato di agibilità (rilasciato nel 1981) motivato dalla realizzazione di importanti opere edilizie in assenza di titolo abilitativo sull’immobile di loro proprietà, consistenti nell’ampliamento del terzo piano e parziale sopraelevazione del quarto piano.
Secondo l’amministrazione gli abusi edilizi avevano alterato l’originaria struttura dell’intero corpo di fabbrica con tutte le unità immobiliari coinvolte, compromettendone le condizioni di sicurezza in assenza della richiesta documentazione attestante l’idoneità sismica dell’opera.
Secondo i ricorrenti invece il certificato di agibilità accerterebbe esclusivamente il rispetto delle regole in tema di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico e non potrebbe essere rifiutato o revocato "solo" perchè l'immobile o parte di esso sia realizzata in modo difforme dal titolo edilizio. Inoltre ritenevano illegittima la revoca in quanto investiva anche la porzione dell’opera rimasta coerente con il titolo edilizio del 1981 ed in particolare sui locali situati al piano terra destinati ad attività commerciale.

In proposito il TAR Calabria Reggio Calabria 22/01/2021, n. 70 ha ribadito il principio secondo il quale la conformità dei manufatti alle norme urbanistico/edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico/edilizia e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è preordinata.

Inoltre il TAR ha specificato che è la stessa legge a richiedere - prima con l’art. 25 del D.P.R. 380/2001, comma 1, lett. b), e poi con il nuovo art. 24, comma 2, D.P.R. 380/2001 - che la domanda di rilascio del certificato di agibilità sia corredata, tra l’altro, dalla “dichiarazione sottoscritta dallo stesso richiedente il certificato di agibilità di conformità dell’opera rispetto al progetto approvato” e che tale certificato (oggi sostituito dalla segnalazione certificata di agibilità ex art. 3, D. Leg.vo 25/11/2016, n. 222) viene imposto con riferimento alle nuove costruzioni, alle ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali, ed inoltre, agli interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni previste dalla legge.

Le norme in discorso vanno interpretate nel senso che, in caso di difformità dell’opera dal progetto edilizio e, a maggior ragione, in assenza di progetto, l’agibilità deve essere negata.

Quanto sopra si può affermare - come nella fattispecie esaminata dalla sentenza - anche ove sia pendente un procedimento di sanatoria edilizia (v. anche TAR Campania-Salerno 03/12/2019, n. 2138).

In altri termini, il certificato di agibilità può riguardare soltanto opere edilizie legittime ab origine o successivamente sanate, apparendo del resto assurdo, si legge nella sentenza, che il Comune rilasci l’agibilità a fronte di un’opera magari palesemente abusiva e destinata quindi con certezza alla demolizione, apparendo tale comportamento dell’Amministrazione contraddittorio rispetto al perseguimento del pubblico interesse.

Dati gli elementi di fatto, nel caso concreto la sopravvenuta parziale abusività del fabbricato rendeva evidente che l’agibilità ottenuta nel 1981 non poteva più ritenersi sufficiente a garantire la stabilità effettiva dell’intero manufatto, soprattutto in mancanza di produzione di idonea documentazione tecnica da parte dei ricorrenti - peraltro ad essi richiesta dal Comune resistente quale condizione per il rilascio dell’agibilità - che ne dimostrasse il contrario.

Il TAR ha di conseguenza confermato la legittimità del ritiro della agibilità dell’intero edificio precedentemente rilasciata, essendo rispondente ad ordinari canoni di prudenza e ragionevolezza ritenere che opere abusive riguardanti aspetti strutturali e non marginali di una parte del corpo di fabbrica possano minacciarne la stabilità e la tenuta antisismica nella sua interezza.

 

Con la sentenza n. 2294 del 2017, la Cassazione si è nuovamente pronunciata in tema di vendita di un immobile sprovvisto di agibilità.

 

Nel caso di specie, la parte acquirente rilevava l’esistenza di una forte umidità da risalita capillare al piano terra dell’immobile compravenduto, tale da impedire il rilascio del relativo certificato di agibilità. In ragione di ciò la parte agiva in giudizio, decisa a ottenere dall’alienante una somma pari alle spese derivanti dai lavori necessari al rilascio del suddetto certificato. Ciò anche in considerazione del fatto che nel contratto di compravendita lo stesso venditore si era impegnato ad effettuare ogni pagamento necessario all’ottenimento del relativo certificato. Il convenuto eccepiva quindi la prescrizione dell’azione esperita, risultando tuttavia soccombente in primo grado. La Corte d’Appello confermava la pronuncia del Tribunale, aderendo alla ricostruzione operata dagli attori e dunque ritenendo l’alienante inadempiente, in ragione della mancata dotazione dell’immobile del certificato di agibilità. Si rinveniva nello specifico un’ipotesi di vendita di aliud pro alio[1] - e non di vizio della cosa venduta - stante la mancanza in capo all’immobile di un “requisito giuridico essenziale”, con possibilità in capo ai soggetti lesi di agire entro il termine decennale di prescrizione.

 

La controversia giungeva quindi in Cassazione, la quale rigettava il ricorso dell’alienante, ritenendo i motivi addotti dallo stesso del tutto privi di fondamento.

 

2. Il quadro normativo

 

La pronuncia in esame offre lo spunto per approfondire la tematica relativa alla vendita di un bene sprovvisto di agibilità.

 

Il certificato di agibilità, oggi sostituito dalla segnalazione di agibilità, ha la funzione di garantire il rispetto dei requisiti minimi di salubrità, igiene e sicurezza dell’immobile[2].

 

Costituendo l’agibilità un elemento caratterizzante del bene[3], il difetto della stessa comporta una rilevante limitazione del godimento dell’immobile da parte del suo titolare. Tale limite si frappone al pieno esercizio del diritto di proprietà, e risulta legittimo in quanto posto a tutela del diritto alla salute, sancito dall’art. 32 Cost.[4]. I requisiti sopra richiamati sono stati infatti reputati rilevanti ai fini della tutela di tutta la collettività, e non solo di coloro che sono destinati ad abitare l’immobile[5].

 

La disciplina in materia è dettata dagli artt. 2425 e 26 del d.P.R. n. 380/2001,[6] come recentemente modificati dal D.Lgs. n. 222/2016.

 

L’intervento del 2001 aveva comportato il venir meno la distinzione tra agibilità e abitabilità.

 

Il ricorso alla duplice terminologia aveva fatto sorgere in passato dubbi circa la possibilità di ricondurre i due termini ad unità semantica, tanto che parte della dottrina aveva rilevato la necessità di ottenere il rilascio di due distinte certificazioni. La previsione di un unico termine è stata volta a far venir meno tale incertezza, come d’altronde risulta dalla stessa relazione al Testo Unico dell’Edilizia, la quale afferma che “per quanto riguarda l’agibilità degli edifici, si è, preliminarmente, operato per ridurre ad unità i termini di agibilità-abitabilità fonte di ambiguità, in quanto promiscuamente impiegati dal legislatore nel corso degli anni [...] si è pertanto provveduto ad eliminare il duplice riferimento terminologico attualmente presente nella legislazione di settore”[7].

 

Al di là della modifica a livello terminologico, la disciplina introdotta con il d.P.R. n. 380/2001 ha ampliato l’ambito delle categorie di edifici per le quali è richiesto il rilascio del certificato di agibilità, non limitandosi alle case urbane e rurali citate dalla previgente normativa.

 

L’art. 24 del d.P.R. n. 380/2001 si riferisce alle nuove costruzioni, ricostruzioni o sopraelevazioni, nonché a interventi sul costruito che possano influire sulle condizioni di salubrità, igiene e sicurezza. Il raggio di azione della disciplina è dunque esteso a qualsiasi edificio che rientri in uno dei casi sopra indicati, in linea tra l’altro con l’orientamento dottrinale che ante riforma aveva superato il tenore strettamente letterale della normativa allora in vigore[8].

 

Come anticipato, la normativa in materia è stata recentemente riformata dal D.Lgs. n. 222/2016, il quale ha sostituito al certificato di agibilità la segnalazione di agibilità, da presentare al competente ufficio comunale entro 15 giorni dalla comunicazione di fine lavori. Il comune ha 30 giorni di tempo per richiedere ulteriori documenti o precisazioni, dopodiché l’immobile è regolarmente abitabile.

 

Quanto agli effetti derivanti dalla presentazione della segnalazione, occorre considerare che l’agibilità determina la cd. abitabilità legale dell’immobile. Non assume alcun rilevo giuridico sanante la circostanza che, nonostante il mancato ottenimento dell’agibilità, l’immobile sia stato concretamente adibito ad abitazione da parte del suo proprietario[9]. Al riguardo si segnala che, nonostante la vigente normativa non contempli sanzioni in capo ai soggetti che pongano in essere tale condotta, l’art. 24 T.U.E. prevede che - decorsi 15 giorni dalla fine dei lavori - la mancata presentazione della segnalazione di agibilità comporta l’erogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria.

 

In assenza di patti contrari, l’obbligo di consegna dei documenti comprovanti l’agibilità grava in capo all’alienante, essendo tale requisito implicito in caso di silenzio delle parti sul punto[10]. Da ciò discende che, in assenza di agibilità, graverà in capo al venditore l’obbligo di attivarsi al fine di attivare la procedura volta al suo ottenimento.

 

Al riguardo, l’inserimento in atto di una clausola nella quale si afferma che “il bene è trasferito nello stato di fatto e di diritto in cui si trova” non incide in alcun modo sugli obblighi in capo al venditore. Si è infatti osservato[11] che la previsione in esame integra una clausola di stile, inidonea dunque a far venir meno l’obbligazione esistente in capo all’alienante, essendo sul punto sempre necessario un espresso esonero da parte dell’acquirente[12].

 

Quanto poi all’ipotesi in cui l’abitabilità, nel vigore della previgente disciplina, fosse stata ottenuta in forza di silenzio assenso[13], in giurisprudenza si considerava il venditore adempiente qualora, al momento del rogito, avesse offerto “la documentazione attestante la regolare presentazione dell’istanza e il decorso del tempo”[14], sorgendo tuttavia in capo allo stesso l’onere, a richiesta del notaio rogante o dell’acquirente, di comprovare che l’istanza fosse stata presentata con il dovuto corredo documentale.

 

Ebbene, è opportuno rilevare come il silenzio assenso costituisca oggi, in ragione della recente novella legislativa, l’ipotesi ordinaria. La pronuncia giurisprudenziale sopra richiamata assume dunque in tale ottica un notevole rilievo.

 

3. Spazi di autonomia concessi alle parti e possibili conseguenze del difetto di agibilità

 

Esaminati i caratteri generali della normativa relativa all’agibilità degli immobili, occorre indagare circa la libertà concessa alle parti, al momento della determinazione del regolamento di interessi, di incidere sulla disciplina legale sopra esposta.

 

In sede di stipulazione del contratto di compravendita di un immobile sprovvisto dell’agibilità, le parti possono infatti espressamente convenire di trasferire il bene a prescindere dall’esistenza di tale qualità. In tal caso l’acquirente avrà valutato l’opportunità di procedere all’acquisto del bene, nella consapevolezza dell’assenza dell’agibilità, in considerazione dei vantaggi derivanti dalla conclusione del negozio a prescindere dalla presenza di tale elemento. Sorgerà tuttavia responsabilità contrattuale in capo all’alienante qualora lo stesso, pur in presenza del siffatto accordo, abbia garantito la sussistenza dei requisiti astrattamente necessari per l’ottenimento dell’agibilità dell’immobile e questi risultino invece mancanti[15].

 

Le parti, qualora alla conclusione del contratto di vendita il bene difetti dell’agibilità, possono inoltre liberamente individuare il soggetto in capo al quale gravino le spese necessarie per la procedura volta all’ottenimento di tale qualità.

 

In base a quanto detto, risulta dunque evidente che l’assenza dell’agibilità incide sul corretto adempimento degli obblighi scaturenti dal contratto di vendita e non sulla validità del contratto stesso.

 

Nonostante infatti numerose sentenze facciano riferimento alla incommerciabilità degli immobili sprovvisti di agibilità, in nessuna di queste pronunce è mai effettivamente posta in contestazione la validità del negozio concluso[16]. Al riguardo, basti considerare che è pacificamente ammessa la possibilità di agire ex art. 2932 c.c., al fine di ottenere una pronuncia giudiziale che produca gli effetti del contratto che le parti si sono obbligate a concludere in forza di un preliminare di vendita di un bene sprovvisto di agibilità[17].

 

L’unica eccezione individuata dalla giurisprudenza è costituita dall’ipotesi in cui l’assenza di agibilità comporti l’assoluta impossibilità di godimento del bene[18]. In tal caso il negozio sarà infatti radicalmente nullo. Si tratta comunque di un’eventualità raramente rinvenibile nella pratica dei traffici immobiliari e destinata essenzialmente a costituire un caso di scuola.

 

Per rinvenire invece una pronuncia che faccia derivare dalla mancanza di tale elemento la costante nullità del contratto, occorre volgere lo sguardo indietro di oltre trent’anni. Si segnala infatti una risalente pronuncia del Tribunale di Venezia[19], secondo la quale nell’ipotesi in questione ricorrerebbe nullità per illiceità dell’oggetto. Tale orientamento giurisprudenziale non ha tuttavia trovato riscontro negli anni successivi, venendo anzi più volte smentito[20] sulla base dell’assunto che non esiste nel nostro ordinamento alcuna norma che preveda l’obbligo, peraltro a pena di nullità, di dotare l’immobile del requisito dell’agibilità precedentemente alla sua vendita[21].

 

Sotto l’aspetto testé evidenziato, la situazione in esame si differenzia dall’ipotesi in cui un negozio abbia ad oggetto immobili abusivi, stante la sanzione della nullità comminata in caso di difetto di conformità urbanistica ed edilizia[22].

 

Effettuate tali precisazioni, occorre chiarire perché allora la giurisprudenza faccia spesso riferimento alla incommerciabilità dei beni in tali ipotesi. Detta incommerciabilità assume infatti nelle pronunce - compresa quella in commento - una connotazione extra giuridica, comportando una valutazione in concreto, relativa alla minore appetibilità sul mercato di un immobile sprovvisto di agibilità e ai conseguenti ostacoli che si frappongono a una sua effettiva circolazione. Ciò in ragione dell’impossibilità dello stesso di soddisfare un bisogno tipico degli acquirenti di immobili, quale è appunto la destinazione del bene ad abitazione. L’orientamento giurisprudenziale pone dunque l’accento sulla funzione economico sociale del bene, la cui alterazione inciderebbe anche sui risvolti circolatori dello stesso.

 

A sostegno di tale lettura, è opportuno osservare che in alcune di tali pronunce si parla di “ridotta commerciabilità del bene” o di “problemi di commerciabilità”, rilevando come il difetto di agibilità comporti problemi alla “normale commerciabilità” del bene e ponendo al centro i “concreti bisogni che inducono il compratore all’acquisto”[23]. Se dunque il bene, pur con maggiore difficoltà, può circolare, ne deriva che i relativi negozi saranno validi. Sulla base di quanto affermato è agevole concludere che un immobile sprovvisto dell’agibilità non è incommerciabile, subendo esclusivamente un deprezzamento rispetto al valore che avrebbe in caso contrario, sia in relazione all’impossibilità di pieno godimento dello stesso, che in considerazione delle spese che si renderanno eventualmente necessarie al fine dell’ottenimento dell’agibilità.[24]

 

Quanto constatato si pone in linea con la distinzione operata in dottrina[25] e in giurisprudenza[26] tra il profilo della regolarità urbanistica e quello della agibilità.

 

Al riguardo, è agevole osservare innanzitutto che l’avvio della procedura volta all’ottenimento dell’agibilità avviene in un momento successivo alla realizzazione dell’immobile, stante la sua esclusiva funzione di accertare la sussistenza delle condizioni igienico-sanitarie dell’immobile. Inoltre, in base alla vigente disciplina, la conformità del bene al progetto approvato deve esclusivamente risultare da una autodichiarazione resa dal richiedente al momento della presentazione della segnalazione di agibilità, potendo dunque al limite far sorgere una presunzione iuris tantum di conformità urbanistico-edilizia[27]. Al fine di un effettivo accertamento della conformità urbanistica occorrerà invece verificare il rispetto della disciplina in materia, e in particolare l’avvenuto rilascio del provvedimento abilitativo o di un provvedimento in sanatoria, i cui estremi dovranno inoltre risultare dall’atto con il quale l’immobile viene trasferito.

 

Pur essendo innegabile una sostanziale interrelazione tra il profilo dell’agibilità e quello della conformità urbanistico-edilizia, è dunque opportuno evidenziare che questi risultano giuridicamente distinti, non potendo la regolarità dal punto di vista urbanistico sanare il difetto di agibilità, e viceversa. In altre parole, la sussistenza dell’agibilità è inidonea a garantire la regolarità urbanistica dell’immobile, e allo stesso modo il rilascio del permesso a costruire - nonché il ricorso alla super D.IA. o alla S.C.I.A. - non esimono dall’obbligo di porre in essere gli adempimenti necessari all’ottenimento dell’agibilità.

 

Questo comporta che il rilascio di un provvedimento che sani l’irregolarità dell’immobile dal punto di vista urbanistico potrebbe non essere seguito dall’ottenimento dall’ottenimento dell’agibilità, non essendo i due eventi conseguenziali[28].

 

Come già rilevato, il difetto di agibilità, lungi dal comportare l’invalidità del negozio traslativo dell’immobile, incide piuttosto sul piano della responsabilità contrattuale. Se sul punto vi è sostanziale accordo in giurisprudenza, quanto invece al fondamento normativo della responsabilità dell’alienante - stante il silenzio del legislatore - sono state in passato suggerite diverse soluzioni[29].

 

a) Un primo orientamento ha affermato la necessità di applicare l’art. 1489 c.c., relativo alla vendita di beni gravati da oneri, diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscano il godimento. A giustificazione di tale assunto, si è infatti evidenziata la particolare ampiezza della norma da ultimo richiamata, idonea a ricomprendere eventuali limiti derivanti da provvedimenti amministrativi, purché naturalmente l’acquirente non ne fosse a conoscenza. Ciò non si porrebbe in contrasto con il brocardo ignorantia legis non excusat, in quanto si addurrebbe la mancata conoscenza non della normativa in materia, bensì dell’assenza in concreto dell’agibilità. Tale difetto di informazione sussisterebbe in ragione delle dichiarazioni fornite dal venditore o della documentazione dallo stesso prodotta[30]. L’acquirente potrebbe in tal caso ottenere la risoluzione del contratto o la riduzione dell’ammontare corrispettivo, nel rispetto di quanto dettato dall’art. 1480 c.c.

 

b) Un secondo orientamento ha rinvenuto il fondamento della la responsabilità in capo all’alienante nell’obbligo di consegna dei titoli e dei documenti relativi alla proprietà e all’uso della cosa venduta, previsto dal terzo comma dell’art. 1477 c.c.[31] Sorgerebbe dunque in capo all’acquirente il diritto di agire al fine di ottenere l’adempimento del contratto o la risoluzione per inadempimento, nonché il risarcimento del danno. Sarebbe inoltre possibile eccepire l’inadempimento del venditore ex art. 1460 c.c.[32]

 

c) In senso ancora difforme, si è sostenuto che il difetto di agibilità costituisca un vizio della cosa venduta, ai sensi dell’art. 1490 c.c. o una mancanza delle qualità promesse ex art. 1497 c.c.[33] Il primo caso ricorre ogniqualvolta il bene consegnato al compratore presenti imperfezioni che lo rendano inidoneo all’uso cui dovrebbe essere destinato o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore[34]. Il secondo caso si ha qualora il bene consegnato risulti privo delle qualità promesse o di quelle essenziali all’uso a cui è destinato, purché il difetto ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi.

 

In tale ipotesi il compratore dovrebbe attivarsi con particolare celerità al fine di far valere le proprie ragioni, in quanto l’art. 1495 c.c., richiamato anche dall’art. 1497 c.c., prevede che il vizio debba essere denunciato entro il termine di decadenza di 8 giorni dalla sua scoperta, e che il diritto ad agire si prescriva in ogni caso decorso un anno dalla consegna.

 

d) Un ulteriore orientamento - abbracciato tra l’altro dalla sentenza in commento - riconduce l’ipotesi trattata alla figura della vendita di aliud pro alio[35].

 

Si suole parlare di aliud pro alio qualora il bene oggetto del contratto non possieda uno o più elementi indispensabili per garantirne la riconducibilità a un determinato genere. Tale definizione nel corso degli anni ha assunto confini sempre meno rigidi, sino a ricondurre all’interno della figura ogni ipotesi in cui il bene risulti inidoneo all’espletamento della sua tipica funzione economico-sociale, o comunque a una funzione che le parti abbiano ritenuto essenziale[36]. In tal modo si è inteso rispondere alle critiche che escludevano la riconducibilità della vendita di un immobile privo di agibilità all’ipotesi di aliud pro alio, in ragione della mancanza del requisito della assoluta diversità tra quanto negoziato e quanto consegnato. Secondo tale posizione critica, infatti, il bene privo di agibilità avrebbe semplicemente difettato di un singolo elemento, non potendosi parlare invece di un bene di diverso genere.

 

In caso di vendita di alio pro aliud, il soggetto leso avrà diritto di agire per l’adempimento o per la risoluzione ex art. 1353 c.c., nonché di eccepire l’inadempimento ex art. 1460 c.c.

 

In relazione alla possibilità di ottenere la risoluzione del contratto, risulta tuttora discusso se la valutazione circa la rilevanza dell’adempimento debba essere effettuata con riferimento al caso concreto, gravando in capo all’acquirente l’onere di provare che l’inadempimento non è stato di scarsa importanza, o se la gravità sussista in re ipsa, essendo desumibile dall’assenza dell’agibilità, a prescindere dalle cause di tale mancanza[37]. La giurisprudenza negli anni ha assunto una posizione ondivaga sul punto, il quale risulta fondamentale al fine di valutare la responsabilità dell’alienante qualora l’agibilità venga ottenuta successivamente all’avvio del giudizio[38]. Relativamente a tale ipotesi, si è infatti sostenuto che, nonostante il divieto di adempimento successivo alla proposizione dell’azione di risoluzione, di cui all’art. 1453.3 c.c., il successivo ottenimento dell’agibilità è idoneo a incidere sulla valutazione della gravità dell’inadempimento, costituendo riprova dell’assenza di impedimenti ad integrare tale elemento[39].

 

In generale, a seconda della tesi adottata varia il peso rivestito dalla idoneità in concreto del bene all’ottenimento dell’agibilità.

 

Qualora infine la conoscenza del difetto dell’agibilità sopraggiunga in un momento precedente alla stipulazione del contratto di trasferimento, l’acquirente ben potrà rifiutarsi di concludere l’operazione[40]. Allo stesso modo, i rimedi sopra esposti saranno adottabili nell’ipotesi in cui le parti si siano vincolate alla stipula del definitivo in forza di un preliminare di vendita[41].

 

Sulla scorta delle più recenti pronunce della Cassazione, prima fra tutte quella oggetto del presente commento, l’orientamento prevalente risulta attualmente essere quello che riconduce l’ipotesi alla vendita di aliud pro alio[42], sebbene non manchino sentenze che identificano il difetto di agibilità in un vizio della cosa venduta o nella mancanza di una qualità promessa[43]. La principale distinzione intercorrente tra le soluzioni testé richiamate si manifesta principalmente con riferimento ai differenti termini previsti al fine di esperire le relative azioni. Se, come già rilevato, nel secondo caso ricorrono un termine di decadenza e un termine annuale di prescrizione, nell’ipotesi di aliud pro alio è invece possibile agire nell’ordinario termine decennale, difettando inoltre il termine di decadenza[44].

 

Sotto il profilo del ruolo e delle responsabilità dal notaio, la validità della vendita di un immobile sprovvisto dell’agibilità comporta l’obbligo in capo allo stesso di procedere, se richiesto, alla stipulazione del contratto. Non ricorrendo gli estremi per l’applicabilità dell’art. 28 L.N., il notaio che si rifiuti di ricevere un siffatto negozio violerebbe infatti l’art. 27 L.N., incorrendo nella responsabilità di cui al secondo comma dell’art. 138 L.N.

 

L’attività del notaio dovrà in tali ipotesi concretarsi in una corretta informazione nei confronti della parte acquirente, al fine di garantire che la stessa sia al corrente delle conseguenze derivanti dall’acquisto di un immobile privo dell’elemento dell’agibilità, potendo tale qualità, specie nell’ipotesi di un immobile da adibire ad abitazione, risultare determinante nella valutazione del contraente circa l’opportunità di procedere alla stipula.

 

Sebbene la disciplina in materia non imponga l’indicazione in atto degli estremi della segnalazione di agibilità, né del decorso del termine entro il quale il comune può effettuare rilievi, sarà compito del notaio valutare l’opportunità di inserirvi i relativi riferimenti. In particolare, risulterà opportuno trasporre correttamente nel contratto gli accordi eventualmente intercorsi tra le parti relativamente a tale requisito, attraverso clausole idonee a prevenire futuri contenziosi.

 

Da ultimo, occorre rilevare che l’attività del notaio sarà sempre vincolata dalle risultanze documentali derivanti dalle visure ipotecarie e catastali, noché dagli incartamenti forniti dalle parti, non potendosi invece pretendere un controllo in concreto della condizione dell’immobile[45].

 

4. L’approdo della Corte

 

Con specifico riferimento alla sentenza in commento, la corte, sul solco delle più recente giurisprudenza[46], riconduce l’ipotesi di vendita di immobile sprovvisto di certificato di agibilità - oggi, come detto, sostituito dalla segnalazione di agibilità - alla figura dell’aliud pro alio, rinvenendo in capo all’alienante l’obbligo di consegnare la documentazione al momento della stipulazione del contratto.

 

I giudici precisano inoltre che la vendita di aliud pro alio ricorre sia qualora il bene difetti in maniera assoluta di agibilità, che quando sia privo dei requisiti minimi necessari per l’ottenimento della stessa.

 

Al riguardo, come si è già avuto modo di precisare all’interno della presente trattazione, non rileverebbe secondo i giudici l’utilizzazione dell’immobile quale abitazione da parte del precedente proprietario[47], né inciderebbe positivamente l’avvenuta presentazione della domanda di sanatoria.

 

Gli ermellini hanno dunque colto l’occasione per ribadire la necessità di scindere le questioni relative all’agibilità e quelle attinenti alla regolarità urbanistica dello stesso. Secondo quanto già affermato in passato dalla corte[48], l’avvenuta presentazione della domanda di condono alla data della stipula non vale infatti a sanare il mancato rilascio dell’oggi soppresso certificato di agibilità. Ciò in ragione appunto della necessità della differente funzione dei relativi provvedimenti amministrativi: il primo volto a garantire il rispetto degli standards urbanistici e la conformità edilizia dell’immobile, mentre il secondo mirando ad assicurare la salubrità, l’igiene e la sicurezza degli spazi.

 

Dal punto di vista delle conseguenze derivanti dall’inadempimento del venditore, la corte ammette la possibilità di agire al fine di ottenere l’adempimento o la risoluzione del contratto, nonché il risarcimento del danno. Si riconosce altresì la possibilità di eccepire l’inadempimento ex art. 1460 c.c. Anche sotto tale aspetto i giudici si pongono quindi nel solco della corrente giurisprudenziale sopra esposta, non innovando rispetto al passato.

 

Da ultimo, i giudici sottolineano come, in assenza dell’agibilità, l’immobile risulta incommerciabile. Al riguardo è opportuno ribadire che, come approfonditamente esplicato all’interno della presente trattazione, la richiamata incommerciabilità non va intesa in senso giuridico, bensì in un’ottica esclusivamente economica. È indiscusso infatti che un bene sprovvisto dell’agibilità possa liberamente circolare, sebbene tale circostanza ne limiti in parte il godimento. Il termine utilizzato va dunque inteso in senso lato, ponendosi il difetto di agibilità esclusivamente sul piano dell’inadempimento contrattuale.

 

5. Conclusioni

 

Si può dunque affermare che la sentenza in commento si pone in linea con la precedente giurisprudenza[49], rinvenendo nella mancata consegna del certificato di agibilità un inadempimento integrante vendita di aliud pro alio, a prescindere dal fatto che ciò derivi da una semplice inerzia del venditore o da caratteristiche intrinseche dell’immobile. Il bene oggetto della compravendita risulta in tal caso solo economicamente incommerciabile, non essendo idoneo ad assolvere la sua tipica funzione economico-sociale. Da ciò deriva che non sussistono invece ostacoli giuridici alla sua circolazione.

 

Risulta inoltre opportuno evidenziare che, nonostante la soppressione del certificato di agibilità e la sua sostituzione con la segnalazione di agibilità, le considerazioni effettuate dai giudici nella pronuncia in oggetto mantengono forte rilevanza e attualità.

Articolo di Pietro Zanelli e Federico Bonora, tratto da Notariato (n. 3/2017), Ipsoa. Per maggiori informazioni >>

_____________

 

[1] Sul tema si v. anche P. Zanelli, Relazione al Convegno La sanatoria dell’abusivismo edilizio di cui alla legge 47 del 1985, Bologna 27 maggio 1985, in Nuove leggi civ., 1985, 5-6, a cura di A. Carullo; P. Zanelli, Il Condono Edilizio: vecchie e nuove nullità, in Contr. e imp., 1995, 3.

 

[2] Cass. n. 8409/2006, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, 48. Casu, Postille sul certificato di agibilità (nota a Cass. n. 25040/2009), in Riv. not., 2010, 2, 425; Casu, Il certificato di abitabilità, in Riv. not., 2001, 243 ss.; Brienza, Il certificato di abitabilità/agibilità, in FederNotizie, 2003, 4, 152 ss.

 

[3] Cass. n. 9253/2006, in Riv. not., 2007, 394.

 

[4] Cass. n. 5889/1996, in Giust. pen., 1997, II, 300.

 

[5] Cons. Stato n. 118/1982, in Foro amm., 1982, I, 423; Cons. Stato n. 327/1980, in Riv. not., 1980, 860. Greco, La mancanza di abitabilità dell’appartamento porta alla risoluzione del preliminare, in D&G online, 2013, 1110.

 

[6] Consiglio Nazionale del Notariato, studio n. 4508/2003, Testo unico sull’edilizia. I suoi contenuti essenziali. Novità rispetto alla precedente disciplina, estensore Casu.

 

[7] Consiglio Nazionale del Notariato, studio n. 4512/2003, Il certificato di agibilità, estensore Leo; Rizzi, Il nuovo testo unico sull’edilizia - Riflessi sull’attività notarile, Relazione all’incontro di studio Associazione sindacale dei notai delle Tre Venezie, Padova, 14 giugno 2003.

 

[8] Cass. n. 7920/1999, in Giur. bollettino legisl. tecnica, 2000.

 

[9] Cass. n. 9253/2006, in Riv. not., 2007, 394; Cass. 8880/2000, in Riv. not., 2001, 242.

 

[10] Cass. n. 23157/2013, in Riv. not., 2013, 6, 1408; Cass. n. 20399/2004, in Contratti, 2005, I, 429; Cass. n. 11521/1995, in Corr. giur., 1996, 168; Cass. n. 15969/2000, in Giust. civ., 2001, I, 1249; Cass. n. 12556/2000, in Mass. Giust. civ., 2000, 1981; Cass. n. 8880/2000, in Riv. not., 2001, 242; Cass. n. 953/1995, in Mass. Giust. civ., 1995, 532; Cass. n. 11980/1992, in Mass. Giust. civ., 1992, 11; Cass. n. 12507/1993, in Giur. it., 1995, I, 1, 490. Consiglio Nazionale del Notariato, studio n. 3629/2001, Testo unico sull’edilizia. Prime riflessioni, estensore Casu.

 

[11] Casu, Postille sul certificato di agibilità (nota a Cass. n. 25040/2009), in Riv. not., 2010, 2, 425; Greco, La mancanza di abitabilità dell’appartamento porta alla risoluzione del preliminare, in D&G online, 2013, 1110.

 

[12] Cass. n. 25040/2009, in Riv. giur. edilizia, 2010, 2, I, 430; Cass. n. 1514/2006, in Mass. Giust. civ., 2006, 1; Cass. n. 16024/2002, in Arch. loc. e cond., 2003, 39.

 

[13] Buonerba - Zappone, Le menzioni urbanistiche negli atti notarili, Milano, 2014.

 

[14] Cass. n. 24729/2008, in questa Rivista, 2009, 273.

 

[15] Cass. n. 1514/2006, in Mass. Giust. civ., 2006, 1; Cass. n. 8880/2000, in Riv. not., 2001, 242.

 

[16] Angiuli, Vendita di immobili abusivi tra nullità virtuali e testuali, in Contratti, 2001, 1, 13 ss.; Sanvito, Alienazione di immobile privo del certificato di abitabilità, in Contratti, 2003, 12, 111 ss.

 

[17] Cass. n. 8880/2000, in Riv. not., 2001, 242; Cass. n. 3851/2008, in Mass. Giust. civ., 2008, 2, 235; Cass. n. 16216/2008, in Riv. not., 2008, 1428. Garufi, Risoluzione per inadempimento anche nel contratto preliminare se l’immobile è privo della condizione di abitabilità, in D&G online, 2010, 486; Casu, Appunti sul certificato di agibilità, su Riv. not., 2007, 2, 395.

 

[18] Cass. n. 24957/2007, in Riv. not., 2008, 871. Casu, Appunti sul certificato di agibilità, su Riv. not., 2007, 2, 395.

 

[19] Trib. Venezia 9 febbraio 1978, in Giur. it., 1979, I, 2, 234.

 

[20] Cass. n. 3687/1995, in Mass. Giust. civ., 1995, 712; Cass. n. 8199/1990, in Nuova giur. civ. comm., 1991, 525. Calabrese, Sulla vendita di immobile ad uso di abitazione costruito senza licenza edilizia, in Giur. it, 1980, I, 2, 6299.

 

[21] Cass. n. 13270/2000, in Arch. loc. e cond., 2001, 233.

 

[22] Marrese, Qualità del bene immobile e validità del contratto, in Riv. not., 2014, 4, 809.

 

[23] Cass. n. 629/2014, in D&G, 2014; Cass. n. 25040/2009, in Riv. giur. edilizia, 2010, 2, I, 430; Cass. n. 3851/2008, in Mass. Giust. civ., 2008, 2, 235; Cass. n. 9253/2006, in Riv. not., 2007, 394; Cass. n. 1514/2006, in Mass. Giust. civ., 2006, 1; Cass. n. 8880/2000, in Riv. not., 2001, 242.

 

[24] Cass. n. 1514/2006, in Mass. Giust. civ., 2006, 1; Cass. n. 7529/2003, in Giust. civ., 2004, I, 746.

 

[25] Casu, Postille sul certificato di agibilità (nota a Cass. n. 25040/2009), in Riv. not., 2010, 2, 425; Rizzi, Studio Civilistico n. 893-2013/C, La disciplina nazionale dell’attività edilizia.

 

[26] Cons. Stato n. 365/2004, in Foro amm. CDS, 2004, 437; Cons. Stato n. 2760/2009, in Riv. giur. edilizia, 2009, 4, 1557; Cons. Stato 2012, n. 5450, in Foro amm. CDS, 2012, 10, 2615; Cass. n. 16216/2008, in Riv. notariato, 2008, 1428; Cass. n. 24957/2007, in Riv. notariato, 2008, 871.

 

[27] Cass. n. 17498/2012, in Mass. Giust. civ., 2012, 10, 1209. Buonerba - Zappone, Le menzioni urbanistiche negli atti notarili, Milano, 2014.

 

[28] Cons. Stato n. 5157/2003, in For

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