LONDRA 21 APRILE 2020 CORSERA.IT
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Sarà che qui a Londra ci piace scommettere dapertutto e su ogni evento, quindi mi giocherei un milionie di euro sul fischio di avvio della fase finale del campionato di Calcio di Seria A, in Portogallo e l'Islanda, tra gli olè per Ronaldo e il Geyser Sound per le aquile biancocelesti. L'abbiamo già scritto noi del CorSera.it, non c'eè possibilità alcuna che il calcio torni in campo in Italia, dovendo eludere le prescrizioni dei DPCM sul distanziamento sociale e il principio di eguaglianza costituzionale. Se riprende il calcio, devono poter riprendere tutti alle stesse condizioni o modalità. Quindi non potrà mai essere l'Italia o lo Stato rischierebbe l'insurrezione popolare e milioni di cause civili. Il Campionato di Calcio di Serie A deve espastriare in un paese disposto ad accogliere la fase finale del nostro girone di ritorno, e le finali magari anche in playoff tra primo e secondo classificato, per rendere ancora più spettacolare la conclusione del campionato.
Playoff per ovviare alle criticità che il fermo prolungato potrebbe aver provocato nei giocatori. Il festival del calcio potrebbe andare avanti per due mesi n el corso dell'estate, essendo stati cancellati tutti i grandi show sportivi dalle olimpiadi agli europei di calcio. L'altra destinazione per il road-show calcistico potrebbe essere Australia e Nuova Zelanda, per una sorte di campionato del mondo di calcio italiano. Non c'e' altro da fare e la decisione per Gravina & CO va presa subito. Non possiamo neanche immaginare che il campionato di Seria A possa riprendere in settembre in Italia, con il rischio della seconda ondata del Covid-19, in agguato ai primi colpi di tosse, raffreddori e febbri. Quindi signori, niente da fare per l'Italia, meglio un biglietto di sola andata per Sydney .
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#COVID-19 – IL CALCIO E TUTTI GLI SPORT DI SQUADRA NON POSSONO RIPARTIRE. IL CORONAVIRUS NON AMMETTE PRIVILEGI DI CASTA.
Il calcio professionistico vuole ripartire. Se ne fa un gran discutere. A livello sia internazionale che nazionale.
La dimensione essenziale del diritto è quella ordinativa. “Ordinamento giuridico”. Questo non a caso il titolo del noto saggio dell’ill.stre gius-pubblicista Santi Romano. Ordinamento della complessità sociale che trova il suo collante nell’osservanza della società auto-ordinantesi e che diviene regola imperativa nel momento in cui il diritto si innesta all’interno di un apparato di potere. Società politica che nello scorrere del tempo ha assunto forme diverse dalla tribù tribale, alla polis, passando per gli imperi, i comuni sino all’odierno Stato. L’ordinamento statale moderno si dice originario in quanto superiorem non recognoscit. All’interno del sistema di regole dettato dallo Stato tuttavia sussistono plurime comunità nelle quali, nell’ottica pluralista dello Stato garantita dagli art. 2 e 18 della carta costituzionale, i partecipanti, nell’ambito delle regole generali dettate dallo Stato, si auto-ordinano per tutelare determinati valori, interessi dettandosi norme e regole, costituendo corti e prevedendo sanzioni e quant’altro necessario a regolare i loro specifici interessi.
Tra questi plurimi ordinamenti rientra il fenomeno sportivo che Massimo Saverio Giannini definiva “come un vero e proprio ordinamento giuridico che viene ad esplicare le proprie funzioni e a perseguire le proprie finalità all’interno dello Stato, ma che allo stesso tempo si distingue da esso in quanto dotato di un proprio apparato organizzativo, di propri soggetti, sia persone fisiche che giuridiche, e di un proprio sistema normativo” (“Prime osservazioni sugli ordinamenti sportivi”, Riv. Dir. sportivo 1949, nn. 1-2).
Rispetto all’ordinamento statale gli altri plurimi ordinamenti di settore vengono a trovarsi in una relazione di varia natura.
Quanto all’ordinamento sportivo il rapporto con quello generale statuale si gioca soprattutto sul piano dell’autonomia ed in particolare della regola tecnica e sportiva e quindi delle autorità della giustizia sportiva. Autonomia che ovviamente può essere più o meno ampia ma certamente mai raggiungere la totale indipendenza dalle regole statuali.
L’evoluzione del rapporto tra ordinamento sportivo e ordinamento statale è stato al centro di un vasto ed interessante dibattito e di plurimi interventi normativi e giurisprudenziali che si sono sviluppati per decenni e non possono riassumersi qui.
Oggi il D.L. 19.8.2003, n. 220 convertito in legge 17.10.2003, n. 280 stabilisce all’art. 1 che “1.La Repubblica riconosce e favorisce l'autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale. 2. I rapporti tra l'ordinamento sportivo e l'ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo”.
Vi è dunque pieno riconoscimento dell’autonomia dell’ordinamento sportivo nell’ambito suo proprio nei rapporti con lo Stato salvi tuttavia ed evidentemente “i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica”.
Il fenomeno sportivo, tale è stato il suo sviluppo soprattutto nel settore professionistico, travalica attualmente i confini prettamente ludico-sportivi per assumere assoluta rilevanza anche nel campo sociale e nel settore economico.
Le società sportive sin dalla legge 23.3.1991, n. 81, sono considerate a tutti gli effetti imprese di diritto privato che esercitano la loro attività in forma collettiva al fine di produrre e dividere utili. E tale attività come qualunque attività d’impresa ai sensi dell’art. 41 Cost., non “può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Come sappiamo l'Organizzazione mondiale della sanità il 30.1.2020 ha dichiarato l’epidemia da COVID-19 come un'emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale valutata poi l’11.3.2020 come “pandemia” in considerazione dei livelli di diffusività e gravità raggiunti a livello globale.
Ne è conseguito che il governo italiano, in via d’urgenza, abbia emesso tutta una serie di provvedimenti normativi tesi a contrastare la diffusione del contagio nel territorio nazionale a cominciare dal noto D.L. decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19” fino al DPCM del 10.4.2020.
Il fulcro di tutta la normativa emergenziale si basa sul principio del “distanziamento sociale”.
Il “distanziamento sociale” si concretizza nel distanziamento fisico e rappresenta una misura, la principale, di controllo utilizzata per fermare o rallentare il diffondersi del contagio e viene in quanto tale raccomandata, se non pretesa, sia dall’organizzazione mondiale della sanità sia dagli istituti sanitari nazionali ed infatti applicata in tutti i paesi, a livello globale, che sono stati interessati dalla diffusione del COVID-19
Nella sostanza distanziamento significa evitare i contatti con le altre persone.
Il coronavirus può diffondersi, come noto, tramite goccioline respiratorie c.d. droplet. L’OMS raccomanda di tenersi ad almeno un metro di distanza da chiunque sia affetto da febbre, tosse o qualsiasi altro sintomo del virus.
Tuttavia, tale raccomandazione è stata messa in crisi da diversi studi che si sono effettuati durante il periodo di diffusione del COVID-19. Ne abbiamo parlato sul Corsera.it (v. articoli 15.3.2020 e 9.4.2020). Ci sono studi, ad esempio del MIT, che dimostrano che le “goccioline” potrebbero raggiungere i 7-8 metri di distanza a seconda delle condizioni ambientali quali la temperatura e flusso d’aria rimanendo in sospensione per diverse ore. Altri studi (ad esempio di Bert Bolcken e dall'italiano Fabio Malizia dell'Università Ku Leuven)evidenziano la pericolosità della corsa e del biking effettuato “in scia” o in compagnia indicando che le distanze in tali casi dovrebbero essere perlomeno di 5 metri per chi passeggia, 10 per il runner e persino 20 metri per il biker. Altri studi americani hanno evidenziato che la diffusione di COVID-19 può avvenire anche semplicemente parlando e conversando.
Ancora, ma non meno importante, è la circostanza che una delle problematiche maggiori nel contrasto alla diffusione del COVID-19 si è riscontrata nel fatto che il virus possa trasmettersi anche da soggetti asintomatici (v. ns. articolo del 5.4.2020).
Da ultimo si è aggiunto anche il fatto che alcuni studi effettati in Corea del Sud, una delle nazioni, che ha saputo fronteggiare con tempestività e maggior successo la diffusione del COVID-19, hanno dimostrato che “pazienti tornati positivi erano risultati per due volte negativi ai tamponi e quindi dati per guariti. Ma il coronavirus, rimasto per un po' di tempo inattivo, si è ben presto riattivato” e che lo stesso OMS “ha riconosciuto nei giorni scorsi che non tutti i pazienti guariti sembrano aver sviluppato gli anticorpi per evitare un secondo contagio. E questo fatto preoccupa molto” (il Giornale.it 19.4.2020).
L’intero impianto normativo di contrasto alla diffusione della pandemia si fonda e si regge quindi sul “distanziamento sociale” che è principio immanente e fondante l’intera disciplina normativa emergenziale.
Per questo motivo sono stati imposti, sotto comminatoria di sanzioni, limiti alla nostra libertà di circolazione, di associazione, di riunione e di impresa.
A tutte le attività consentite è fatto obbligo di rispettare infatti il principio del “distanziamento sociale”: “Deve essere in ogni caso garantita la distanza di sicurezza interpersonale di un metro”.
“Le imprese le cui attività non sono sospese rispettano i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 14 marzo 2020 fra il Governo e le parti sociali” (DPCM, 10.4.2020, art. 2, punto 10). In detto protocollo si legge che le imprese devono assumere “protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, con adozione di strumenti di protezione individuale”.
Queste le locuzioni che si rinvengono nei testi normativi e che fanno assurgere pertanto a norma di legge il principio del “distanziamento sociale”. Il principio è quindi normativo. Dal suo mancato rispetto consegue non solo la sospensione dell’attività e l’applicazione di sanzioni ma anche la messa in pericolo della collettività sotto il profilo della potenziale lesione del fondamentale diritto alla salute pubblica costituzionalmente garantito dall’art. 32 Cost..
Il calcio, tutti gli sport di squadra e collettivi, ancor di più quelli professionistici esercitati in forma imprenditoriale, non possono ontologicamente rispettare questo fondamentale principio normativo posto a base della disciplina dettata per contenere ed impedire il diffondersi dell’epidemia.
Nella agognata c.d. “fase 2” non si potranno fare eccezioni. Anche per la “fase 2” il piano del ministro della salute Speranza, ci ha detto oggi il suo super-consulente, dott. Ricciardi, membro dell’OMS, “è articolato su cinque punti …ed è basato sul distanziamento sociale”.
Alcun privilegio, nella fase 2, potrà attribuirsi al calcio e agli sport professionistici di squadra nonostante la rilevanza del settore sia nel campo economico che sociale. Ancor prima della salute dei singoli atleti e addetti ai lavori (ovviamente da tutelare al massimo) è in gioco la salute pubblica.
La chiusura degli stadi oppure lo svolgimento dell’attività “a porte chiuse” sono misure non sufficienti e non idonee ad evitare il potenziale diffondersi, tra gli atleti e personale coinvolti nelle gare, del virus non potendo peraltro indossarsi, in via sostitutiva, idonei strumenti di protezione personale.
Per quanto poi riguarda lo sport professionistico se vi fosse una deroga in tal senso che privilegiasse ad esempio il mondo del calcio si porrebbe un problema gigantesco in termini di rispetto non solo dei già richiamati articoli 32 e 41 della costituzione bensì e soprattutto del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Carta Costituzionale.
Se a Ronaldo & Co. verrà concesso di affrontarsi senza rispettare il principio normativo del distanziamento interpersonale tale deroga dovrà valere anche per i cittadini che vorranno sfidarsi nello sterrato campetto sotto casa.
Se agli imprenditori del favoloso mondo del calcio verrà concesso di poter esercitare la loro attività senza dover far rispettare ai lori atleti il principio del distanziamento interpersonale e senza nemmeno dover adottare sistemi di protezione personale individuale allora ciò dovrà valere per tutti coloro che, in Italia, esercitano attività d’impresa.
“Il principio di eguaglianza comporta che a una categoria di persone, definita secondo caratteristiche identiche o ragionevolmente omogenee in relazione al fine obiettivo cui è indirizzata la disciplina normativa considerata, deve essere imputato un trattamento giuridico identico od omogeneo, ragionevolmente commisurato alle caratteristiche essenziali in ragione delle quali è stata definita quella determinata categoria di persone. Al contrario, ove i soggetti considerati da una certa norma, diretta a disciplinare una determinata fattispecie, diano luogo a una classe di persone dotate di caratteristiche non omogenee rispetto al fine obiettivo perseguito con il trattamento giuridico ad essi riservato, quest'ultimo sarà conforme al principio di eguaglianza soltanto nel caso che risulti ragionevolmente differenziato in relazione alle distinte caratteristiche proprie delle sottocategorie di persone che quella classe compongono. In breve, il principio di eguaglianza pone al giudice di costituzionalità l'esigenza di verificare che non sussista violazione di alcuno dei seguenti criteri: a) la correttezza della classificazione operata dal legislatore in relazione ai soggetti considerati, tenuto conto della disciplina normativa apprestata; b) la previsione da parte dello stesso legislatore di un trattamento giuridico omogeneo, ragionevolmente commisurato alle caratteristiche essenziali della classe (o delle classi) di persone cui quel trattamento è riferito; c) la proporzionalità del trattamento giuridico previsto rispetto alla classificazione operata dal legislatore, tenendo conto del fine obiettivo insito nella disciplina normativa considerata: proporzionalità che va esaminata in relazione agli effetti pratici prodotti o producibili nei concreti rapporti della vita” (v. ex plurimis Corte Cost. sent. 2.4.1993, n. 163).
Il calcio segua l’esempio del rugby che ha da tempo dichiarato chiusi i suoi campionati a tutti i livelli: “Il Consiglio ha tenuto in massimaconsiderazione i valori fondanti del rugby italiano e il loro attivo impatto sulla società civile e sui club, nell’intento di tutelare la salute e ilfuturo dei giocatori di rugby di ogni età e livello del nostro Paese, delle loro famiglie e delle loro comunità; mostrare come il rugby sia pronto a rispondere eticamente alle condizioni complessive del Paese, duramente sfidato sul piano sanitario ed economico dalle vicende epidemiche” (nota divulgata dalla F.I.R. per annunciare la chiusura delle competizioni rugbistiche in Italia).
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