Roma 30.12.08 (corsera.it) a cura di Matteo Corsini
Gaza è il confine dell’Inferno,l’imbuto dove il mondo ha gettato la sua spazzatura e anche se qualcuno dal fondo urla,nessuno ascolta,nessuno vuole sapere come sono fatti quei volti straziati e decapitati dal tritolo.Anche le luci degli alberi di Natale non hanno più senso se le guardate attentamente,sono luci a intermittenza,una volta infondevano il caldo tepore delle festività,di quel pezzo di Paradiso che ognuno di noi serba nel cuore e cerca di raggiungere facendo sempre del suo meglio.
I confini di Gaza non hanno le luci,non conoscono quel tepore,non arriveranno mai oltre quella cortina di fumo,dove dietro attendono con impazienza i carri armati di entrare e calpestare quel popolo. E’ il mostro di Natale, l’impressionante carro allegorico della Guerra che Olmert ha fatto riprendere alle televisioni del mondo,che come cavallette impazzite devono vivere di quel cadavere purulento. Gaza è un cadavere ucciso,già ucciso, ritorturato,che offre il suo macabro spettacolo al mondo occidentale racchiuso nelle sue pellicce di agiatezza che attende il Capodanno per rompere i propri tabù da lettino dello psicoanalista.
Il confine dell’Inferno sono questi due mondi contrapposti,da una parte il baratro dall’altra i fuochi di artificio. Immaginiamo che tutto questo potesse essere ricostruito in un altro luogo e in un altro tempo,quali occasioni potrebbero cogliere questi uomini e queste donne?
Se il tempo fosse clemente nutrimento dalla pesca,se le scuole fossero buone ricchezza dalla produzione dei loro prodotti,se i confinanti fossero amici,profitto dal commercio e forse quei popoli finirebbero per avere molti parenti in comune. La domanda dunque è se possiamo ricostruire non soltanto i confini dell’Inferno ma anche quelli del Paradiso,dargli una forma possibile che determini la salvezza di questo popolo e la libertà dell’altro.
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