Whistler 28 Febbraio 2010 (Corsera.it)
Unico oro,unico eroe.Giuliano Razzoli è tutto questo per gli italiani .Il cuore grande di un eroe che merita ogni vittoria perchè il destino ha scritto il suo nome a fuoco sulle rocce degli appennini.Vincere la medaglia d'oro alle Olimpiadi invernali è il sogno dei grandi atleti,ma Giuliano è sceso come inseguito dagli Dei dell'Olimpo.Erano con lui,le sue gambe e la sua mente concentrata ad evitare i pali,a glissare la sfortuna a rovinare contro ogni pericolo.Era lui,eravamo con lui,appassionati di sci,appassionati di quel silenzio ovattato della neve,bagnati di lacrime e gioia,proprio come la neve degli appenini,quella gialla e piena di acqua,come la montagna che piange quando riconosce un campione.(Corsera.it)
Gianni Petrucci è arrivato a Vancouver vestito di...
Il dolce di una Olimpiade amarissima l’hanno servito in fondo: Giuliano Razzoli, un ragazzo dell’Appennino, ha vinto lo slalom e ha messo in extremis una fodera a fiori sopra il divano sdrucito che è stata la partecipazione italiana a Vancouver. Una gara grandissima e se è vero che, quando si affacciò nello sci, Giuliano lo chiamavano poco elegantemente «Tombino» per le affinità di origine, stazza e sciata con Alberto Tomba la prova di ieri lo affranca dall’ingombrante paragone: d’ora in poi Razzoli è Razzoli, al massimo è «il Razzo» come l’altro fu «la Bomba», un campione che vive di luce propria e che dopo 16 anni dall’argento di Lillehammer ha riportato una medaglia olimpica allo sci maschile, perdipiù l’oro. L’ultimo nello slalom fu 22 anni fa e indovinate di chi fu. Nel parterre Tomba piange come un vitello. Forse si è liberato di un peso. «Gli avevo mandato un sms: occhi aperti, feroce e veloce - rivela - E lui mi ha risposto: oggi sono cavoli per gli altri». La staffetta tra emiliani si è concretizzata. E, per Razzoli ieri sono arrivati anche i complimenti del premier Berlusconi.
Giuliano è stato sensazionale nella prima manche. È rimasto solido su quelle gambe che sembrano prosciuttoni. Dove gli altri erano andati di leggerezza lui ha messo la potenza: il risultato era stupefacente, quasi mezzo secondo di distacco in una classifica in cui stavano raggrumati in cinque nel mezzo secondo successivo e tra questi un Moelgg finalmente sciolto. C’era il dubbio su come Razzoli avrebbe affrontato la seconda manche, si temeva una discesa sconsiderata, come a Kranjska Gora, in gennaio, quando buttò il successo. Il miracolo dell’Olimpiade è che Giuliano questa volta è arrivato bene fino in fondo (ieri davanti a Kostelic e Myhrer) quando uno come lui arriva bene in fondo vince o si piazza.
«Non l’ho voluto guardare - ha svelato Theolier, il tecnico degli slalomisti - Ma sapevo che oggi sarebbe andato bene: ha sciato come se fosse in allenamento, il segreto di chi vince. Non è facile riuscirci. Bravo». Ha fatto come Tomba. Le loro storie sono parallele, in mezzo c’è una storia diversa. Tomba, il figlio della Bologna ricca, investì sullo sci e invece di andare a scuola lo mandavano a Cortina per allenarsi da Sjorpaes. Giuliano è invece un ragazzo di estrazione contadina della montagna reggiana, Villa Minozzo, anzi di una frazione che si chiama Rizzolo perché lì tutte le famiglie si chiamano Rizzoli e non si è mai capito se sia nato prima il cognome o il borgo. Classe 1984, il padre Antonio (detto Giuliano) ha un’officina meccanica, la madre Tiziana ha il talento della pittrice e l’abilità della cuoca: ancora oggi, quando i ragazzi del fans club partono per seguire il figlio li riempie di cappelletti fatti in casa. «Prima di questa medaglia erano l’unica cosa di famiglia che valesse un oro olimpico», racconta Giuliano che mamma trova sempre sciupato quando rientra dalle gare, anche se pesa 90 chili e ha la faccia rubizza di chi sta in salute.
Oddio non è sempre stato così e di guai «il Razzo» ne ha avuti parecchi. Il primo fu la vista: a 10 anni gli mancavano 6 decimi da un occhio e 5 dall’altro, con le terapie e gli esercizi il problema si è attenuato ma in gara porta le lenti a contatto. Il secondo furono i piedi: ha il 47 come Ibrahimovic, non trovava scarponi della sua misura e si formavano i calli. Perciò a 17 anni dovettero operarlo. Il terzo guaio, il più grave, furono i dolori alla schiena che a scuola lo costringevano a seguire le lezioni in piedi contro il muro per non stare seduto. Figurarsi come poteva sciare. A 17 anni sembrava un talento perso. Non c’è da stupirsi che, con un simile calvario, Razzoli sia emerso tardi, quando persino suo padre aveva perso la speranza.
«Il giorno in cui mio figlio vincerà in Coppa del Mondo - disse al bar del paese - chiudo l’officina e mi ritiro. Tanto non succederà mai». La sera in cui «il Razzo» vinse lo slalom a Zagabria quei paesani dalla memoria lunga saldarono la saracinesca della bottega: il signor Antonio detto Giuliano dovette chiamare il fabbro per entrarci. Ora è qui che non sa più tenersi. Sei mesi prima delle Olimpiadi, quando non si sapeva se l’avrebbero convocato, in venticinque comprarono al buio il biglietto per Vancouver e adesso sono qui che fanno baccano. Gli altri hanno atteso sulla piazza del paese. Lo avevano salutato tre domeniche fa con una grande festa: Ligabue, il suo idolo, gli aveva mandato il messaggio che Giuliano tiene nel portafoglio. Diceva «Niente paura», come il titolo di una sua canzone. Il «Razzo» non l’ha avuta.
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